Centri d’ascolto della Parola
SCHEDA 1
“Le due nature umane”
Tentazione nel deserto (Lc 4,1-13)
Iniziamo l’incontro pregando insieme:
Signore Gesù, ti preghiamo, fa’ che in noi cresca
la fame di ciò che veramente conta
e dacci il tuo Pane di vita: l’unico che conta.
Tu che vieni come luce per accompagnarci
lungo un cammino di fatica e di speranza,
resta con noi, Signore,
quando i dubbi contro la fede ci assalgono
e lo scoraggiamento atterra la nostra speranza.
Quando l’indifferenza raffredda il nostro amore,
e la tentazione sembra troppo forte.
Quando qualcuno deride la nostra fiducia,
e le nostre giornate sono piene di distrazioni.
Quando la sconfitta ci coglie di sorpresa
e la debolezza invade ogni desiderio.
Quando ci troviamo soli, abbandonati da tutti,
e il dolore ci porta alle lacrime disperate.
Signore, nella gioia e nel dolore,
nella vita e nella morte, resta con noi!
Brano biblico
1Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, 2per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. 3Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». 4Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo».
5Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra 6e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. 7Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». 8Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».
9Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; 10sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano; 11e anche: Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra».
12Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
13Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
Riflessione
Con questo Vangelo inauguriamo il tempo prezioso della quaresima nel quale ci prepariamo alla Pasqua. Leggendo il testo, vediamo innalzarsi davanti a noi due uomini, due tipi di umanità. Una è quella che ci viene donata dal cielo, dal Signore Gesù Cristo, l’altra ha per maestro satana. Purtroppo non ci sono altre antropologie, non c’è una via di mezzo tra queste due umanità. Bisogna scegliere e, soprattutto, bisogna scegliere bene per non consumare la propria esistenza rimanendo incastrati nell’uomo vecchio, il cui maestro è il male.
Per essere guidati in questa scelta proviamo ad osservare le domande fatte dal maligno e le risposte date da Gesù.
Vediamo un po’ che tipo di uomo disegna il maligno: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane».
Da questa prima tentazione viene fuori l’immagine di un uomo che essendo figlio di Dio pretende che Dio gli dia il potere di cambiare la natura delle cose, ovvero sia, che le pietre diventino pane. Un uomo che deve poter avere potere sulla realtà, sformando le cose e trovando in questo la soddisfazione.
Si tratta di una visione in cui la nostra umanità, guidata dall’attuale delirio di autoreferenzialità, dove tutto può essere cambiato secondo il desiderio, può cadere.
Questo tipo di uomo però è un uomo che adesso detto così non può che essere letto negativamente, ma se per un attimino ci si astrae, si casca nel tranello perché in fin dei conti è un uomo meraviglioso che ha potere, che cambia le cose, toglie le malattie, i problemi e fa diventare tutto usufruibile, tutto vantaggioso: è un uomo che ha un potere straordinario.
Ma che cos’è un uomo così? Prima di rispondere vediamo che cosa ancora può fare questo uomo che è secondo l’angelo della luce menzognera. È un uomo che possiede tutti i regni della terra. È un uomo che ha dominio sulla terra, ovvero sia non solo la usa come vuole lui ma la possiede, cioè è un uomo che desidera, cerca, e persegue il sogno della sua supremazia, che vive in questo mondo, così.
Se ci fermiamo a ragionare, un uomo che vive in questo modo è un uomo assurdo, ma se osserviamo la nostra realtà umana possiamo scoprire che tante persone vivono in questo modo. Per esempio tanti genitori crescono i loro figli insegnando loro a diventare i padroni, ad esercitare il possesso sulle cose, non ad esercitare la carità, lo spossesso e la donazione.
È così che stiamo crescendo, siamo stati cresciuti e si stanno crescendo le nuove generazioni. Al centro c’è l’affermazione del nostro ego che deve tagliare le cose, deve mettere la sua etichetta sulle cose. Le cose sono mie, sono in funzione del mio essere. Io devo avere tutto questo. E questo sembra utile: che l’uomo abbia questo coraggio, che l’uomo abbia questa condizione di autonomia, dove autonomia significa che dà lui la legge alle cose, perché la legge è il suo se.
Il matrimonio deve essere come dico io, il lavoro deve essere come dico io. Devo avere questo potere, non devo essere frustrato. Non devo essere messo da parte. Ogni persona deve avere uno spazio di possesso.
E ancora andando avanti nel testo, abbiamo a che fare con la terza coordinata di questo brano. La terza tentazione. Si tratta dello spettacolare. Buttati giù dal pinnacolo del tempio. Lo vedono tutti. Anche Dio si deve piegare alla sua volontà. Dio deve obbedire al suo volere. È il successo, è l’affermazione, è il look. Allora se un bambino lo cresciamo in questo modo con la pretesa che deve affermarsi, bisogna anche fargli capire che deve essere bello, deve essere straordinario, deve essere notevole.
Ecco allora, questo è l’uomo presentato dal maligno: Deve essere soddisfatto da tutto (prima tentazione), deve possedere tutto (seconda tentazione), deve essere guardato da tutti (terza tentazione). Detta così non è un granché, ma alla fine è seminata in noi questa tendenza. Ed è così che si rovinano le relazioni, che si rovinano gli ambienti lavorativi e soprattutto la famiglia.
Che altro uomo allora viene proposto dal brano e verso il quale dobbiamo camminare in questa quaresima? Intanto non è un remissivo, un uomo di secondo piano, di scarto, poco attraente. Guardiamolo bene. È molto più serio, alto, nobile, forte. La prima cosa che dice è: io non vivo di solo pane. È troppo poco quello che mi stai offrendo. Troppo poco che tutto sia per me soddisfacente. Non voglio semplicemente essere uno che vive di solo pane. C’è molto di più che sfamarsi continuamente. C’è incontrare un altro cibo. Avere una relazione con Dio. Troppo poco il pane, perché è solamente un segno di qualcuno che è colui che mi da il pane. Vivere parlando con lui , vivere delle sue parole, vivere della relazione con lui è molto di più che darsi soddisfazioni attraverso le quattro carabattole che sono in questo mondo.
E ancora, questo uomo stana l’inganno che c’è nel possesso. Nella seconda tentazione del Vangelo di Luca si vede che c’è la voglia, il bisogno di possedere tutto, e però per possedere tutto, bisogna inchinarsi perché nessuno possiede una cosa se non la paga. Ecco dice il Signore Gesù, presentando se stesso come il nuovo Adamo, che c’è uno solo a cui bisogna inchinarsi.
Il potere, il possesso non possono spezzare la mia dignità. C’è uno solo che si merita che io mi inchini. Si tratta di Colui che mi ama veramente e mi restituisce la dignità ed ha tutto. Il possesso di questo mondo è un possesso da quattro soldi, perché come dice il cap. 6 del Vangelo di Matteo, in questa terra ci sono i ladri e c’è la ruggine e ci sono i tarli e tutte le cose che possediamo qui, si perdono, e comunque si perderanno, ma Dio non si perde.
Dice San Filippo Neri, nell’Inno delle Sette Chiese: “Quindi a Dio rivolgi il cuore, dona a lui tutto il tuo amore, questo mai non mancherà, tutto il resto è vanità”. Ovvero sia, a che cosa mi prostro io, per che cosa mi spendo? Per qualcosa di effimero o per qualcosa di autentico ed inalienabile? A qualcosa di inalienabile che sta nel rapporto con Dio bisogna prostrarsi. Solo Lui bisogna adorare. E questa parola, che implica certamente una prostrazione, indica anche il bacio, cioè l’intimità.
E da ultimo, non c’è alcun bisogno della spettacolarità. Quando io devo essere visto dagli altri vuol dire che non so chi sono, vuol dire che chiedo agli altri il diritto di esistere. Non c’è bisogno di mettersi in un antagonismo con Dio. Si tratta invece di entrare in un rapporto docile con lui. Nel segreto Dio sa regalare molto più di quanto sullo spettacolare l’uomo ci dà. Un uomo meraviglioso, un uomo che ha un rapporto con Dio, che non è schiavo dei suoi appetiti dei beni di questa terra. Un uomo che sa seguire Dio, sa stare insieme, sa stare al suo posto. Questo è l’uomo da scoprire in questa quaresima.
Tu sai se sei libero solo dopo essere stato tentato. È nella difficoltà che l’uomo prova la sua resistenza.
Domande per la riflessione
Siamo capaci anche noi come dice Gesù di vivere di “non solo pane”, ma anche di tutto quello che il Signore ci offre? (Ascolto, misericordia, accoglienza ecc.)
Sappiamo prendere le distanze dal volere possedere tutto quello che vediamo e desideriamo, oggetti che il tempo distrugge, per entrare in possesso del bene più grande e prezioso che è entrare in relazione con Dio?
Sono capace di vivere la mia vita senza dovere essere sempre ammirato da tutti e stare al centro dell’attenzione? Faccio con umiltà quello che il Signore mi chiede?
Preghiera finale
Padre Nostro
Tu ci sei necessario, o solo vero maestro delle verità recondite e indispensabili
della vita, per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo.
Amen.
SCHEDA 2
“Lo scandalo del toccare”
Guarigione di un lebbroso (Lc 5,12-16)
Iniziamo l’incontro pregando insieme:
Signore, siamo davanti a te, con la fede del lebbroso e ti invochiamo: «Se vuoi, puoi guarirmi!». Siamo davanti a te, Pane della vita, forza di Dio che rigenera l’uomo dal profondo del cuore, e lo rende nuovamente disponibile a cantare la lode al Creatore. Siamo davanti a te, perché abbiamo sperimentato che sei più grande del nostro peccato. Ti portiamo la sofferenza di tante persone che sono chiuse nell’egoismo e nella colpa e non hanno fiducia nella tua misericordia. Sono divorate dal rimorso e non aprono il loro cuore alla forza della tua misericordia senza limiti.
Dona a loro la forza dello Spirito, per non perdere la speranza in te, per riscoprire che tu sei un liberatore potente. Rendi anche noi testimoni della speranza che fonda la nostra fede in te, Dio della misericordia e della pace. Amen.
Brano biblico
12Mentre Gesù si trovava in una città, ecco, un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò dinanzi, pregandolo: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». 13Gesù tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato!». E immediatamente la lebbra scomparve da lui. 14Gli ordinò di non dirlo a nessuno: «Va’ invece a mostrarti al sacerdote e fa’ l’offerta per la tua purificazione, come Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro». 15Di lui si parlava sempre di più, e folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie. 16Ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare.
Riflessione
Il brano del Vangelo ci presenta un miracolo di guarigione di un lebbroso. Per capire bene il significato del testo dobbiamo capire la condizione dei lebbrosi al tempo di Gesù. I lebbrosi non solo avevano una malattia terribile che consumava il loro corpo, ma veniva esclusi dalla comunità. Dovevano infatti vivere nella fogna della città e quando vi entravano dovevano suonare un campanello ed avvisare della loro presenza. Erano ritenuti impuri e la loro malattia era una punizione di Dio. Questo era terribile perché il lebbroso veniva caricato di un senso di colpa molto forte: Dio ti odia e per il tuo peccato ti ha punito. Anche noi tante volte ragioniamo in questo modo e crediamo che Dio sia malvagio e ci punisca con qualche catastrofe nella nostra vita. Per questo ci allontaniamo e perdiamo la fede. Il lebbroso del Vangelo invece rompe lo schema. È un rivoluzionario, infatti, invece di allontanarsi e di gridare ‘impuro, impuro’ si getta ai piedi di Gesù. Vuole in qualche modo vedere se Dio è veramente buono. Sicuramente avrà pensato in se stesso: “ma se Dio è buono, perché mi ha fatto questo? Voglio provare il suo amore e voglio avvicinarmi a lui”. E Gesù, che non ragiona secondo i nostri schemi ma secondo il piano di Dio, rompe anche lui lo schema non solo avvicinandosi, ma anche toccando il lebbroso. Possiamo dire che Gesù si contamina con la sua malattia. Ama profondamente il lebbroso, da farsi suo prossimo. Rivela così che Dio non è colui che condanna, ma è colui che salva e che è venuto per tutti i peccatori senza scartare nessuno. Questo diventa importante anche per noi. Quando ci rapportiamo con Dio non dobbiamo fuggire ma dobbiamo avere il coraggio del lebbroso che nella sua voglia di sfidare Dio, incontra la misericordia.
Domande per la riflessione
Quante volte ci è capitato di sentirci abbandonati da Dio? Quante volte abbiamo pensato che Dio ci abbia voluto punire per i nostri errori? Ci siamo mai allontanati da Lui mentre eravamo in difficoltà? Siamo capaci di rompere gli schemi e nelle difficoltà avvicinarci ancora di più al Signore e sperimentare cosi il suo amore?
Preghiera finale
Padre Nostro
Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace.
Amen.
SCHEDA 3
“Il trauma dell’ospite”
Marta e Maria (Lc 10,38-42)
Iniziamo l’incontro pregando insieme:
Facci un posticino, Maria.
Un posticino con te, ai piedi di Gesù.
E tu, Marta, non agitarti
e non preoccuparti.
Unisciti a noi, siediti qui, per ascoltare
la Parola del Maestro.
Non preoccuparti se la tavola
è ancora vuota,
la riempiremo dopo, insieme.
Ora è il momento di stare qui,
seduti ad ascoltare la Parola del maestro.
Ora è il momento della parte migliore,
quella che non ci sarà mai tolta. Amen.
Brano biblico
38Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Riflessione
Il brano ci introduce in una domanda molto importante: cosa vuole dire “essere discepoli”? Tutto questo ci viene presentato nell’alterità di due sorelle.
Cerchiamo di entrare nel testo. Gesù entra in un villaggio ed una donna di nome Marta lo ospita.
Fin qui nulla di strano, ma se osserviamo attentamente il personaggio di Marta, scopriamo che si tratta di una primogenita, e quindi, che ha il carattere da primogenita, infatti è colei che è responsabile, porta tutto sulle sue spalle, come spesso i primogeniti fanno.
Ma, come tutti i primogeniti, Marta deve essere liberata dal suo peso.
Ora, per essere liberata, Marta deve confrontarsi con il “problema” Gesù. È lei che lo ospita, è lei che prende l’iniziativa ed è lei che fa entrare Gesù in casa.
In questo però non è sola, infatti ha accanto a sé una sorella di nome Maria. Il problema è che Maria, da brava secondogenita, lascia tutte le responsabilità a sua sorella Marta. Lei, infatti, si mette seduta, tranquilla ad ascoltare. Ai piedi di Gesù, si lascia inondare dalla gioia che è entrata nella sua casa, mentre Marta viene distolta e sommersa dai molti servizi. Sembra che ci sia un’ingiustizia. È questo quello che pensiamo a primo acchito. Ma continuiamo la nostra lettura. Proviamo a stare un pochino nei panni di Marta e ad entrare nel suo modo di ragionare. Invitare Gesù a cena o a pranzo poteva essere una cosa parecchio complicata, infatti, Gesù si portava appresso dodici amici (discepoli) e riuscire a gestirli non sempre era una cosa facile. Marta, allora, prova ad affrontare la cosa come meglio può, cercando di gestire il “problema dell’ospite”.
Questo ci porta ad entrare nel nucleo reale di questo Vangelo: “il trauma dell’ospite”. Tutti andiamo in ansia quando dobbiamo accogliere nelle nostre case un ospite, soprattutto quando si tratta di una persona importante. Lo sappiamo bene, quando c’è un’ospite bisogna sfoderare le cose migliori, bisogna fare bella figura altrimenti è un disastro. Per un’ospite devi dare il massimo soprattutto nella cucina, mica lo puoi accogliere con una semplice minestrina o con gli avanzi del giorno prima. Bisogna insomma fare bella figura e questo è un grande problema. L’ospite, infatti, ti chiede molti servizi, e la sua presenza diventa un terribile esame. La pressione del suo sguardo sulla tua pelle la si avverte come una terribile valutazione. Dover allora sopravvivere al trauma dell’ospite, è una delle paure più comuni. Tanta gente vive così la sua vita, sempre sotto esame, sempre sotto lo sguardo degli altri che guardano e danno una valutazione. Questo è terribile perché si rischia di vivere falsamente, con la maschera delle persone perfette, sempre buone e disponibili, che non sanno dire mai di “no”, per paura di deludere e perdere consensi. Il punto è che Marta, vinta da questa logica, è presa da questi molti servizi per la paura di fare brutta figura.
Ad un dato momento però constata che Maria è bella tranquilla, seduta ai piedi di Gesù, senza preoccuparsi minimamente del suo duro lavoro. Per questo motivo, giustamente, sbotta in modo violento e rivolge la sua rabbia non verso sua sorella ma verso Gesù, perché è lui che si dovrebbe rendere conto della sua fatica e del suo impegno e dovrebbe rimproverare Maria. È questo quello che vorremmo secondo il nostro modo di ragionare, ma non è così perché imitare l’atteggiamento di Marta significa impostare la propria vita avendo come modello la logica di tante persone che ti chiedono il conto per le cose che però non gli hai chiesto mai di fare. E Marta, agisce proprio in questo modo, infatti, rivolgendosi a Gesù gli dice: “Signore, non ti curi, non ti importa niente della mia fatica? Tutto quello che io faccio per te? E mia sorella non mi aiuta!”.
Quando una persona decide di fare una cosa, se non la fa con il cuore veramente libero e retto, pretende sempre che gli altri si mettano a fare la stessa cosa e gli rendano il contraccambio. Si punta il dito con rabbia.
Questa è la differenza fra quelli che fanno un servizio e sono felici di farlo e quelli che fanno un servizio perché costretti e si mettono a guardare se gli altri lo apprezzano e danno il contraccambio.
Nella vita parrocchiale ma anche quotidiana abbiamo tanti esempi di questo genere. C’è chi offre servizi e poi si mette sulla cattedra del giudice e punta il dito verso coloro che non li fanno. E qui sorge una domanda: “scusami, ma non eri contento di fare questo servizio?”.
Marta, quindi, fa le cose secondo questa logica e presenta di conseguenza il conto pretendendo che gli altri si mettano a fare quello che fa lei. E Gesù si deve adeguare a questa logica e deve tenere presente il debito che ha contratto perché Marta l’ha ospitato. Ora, se fossimo noi nei panni di Gesù, a questa sfuriata esagerata, subito imbarazzati, inizieremmo a dare una mano di aiuto, rimproverando Maria. Ma Gesù rompe questa logica, dando una risposta sconvolgente: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta”.
Sarebbe bello poter vedere la faccia di Marta e ascoltare i suoi ragionamenti. Sicuramente avrà pensato: “Ma guarda qui, Maria, la fannullona, ha pure ragione e non si becca nessun rimprovero!”.
Il problema è proprio questo. Il testo, infatti, non vuole criticare tutti quelli che si danno da fare su questa terra, anche perché il lavoro è necessario. Il problema è un altro e riguarda il nostro modo di rapportarci con il Signore. Gesù, infatti, è un ospite diverso, che non osserva con uno sguardo di esame e di pressione. Lui viene per noi, per la nostra gioia, per servirci e non pretende nulla da noi. Dio ci ama liberamente. Vuole solo che viviamo il rapporto con Lui non da schiavi, ma da figli. Il punto, infatti, è capire quale parte prendersi nella vita. Il testo parla di una parte migliore, che non sarà mai tolta, e questa parte è il rapporto con Dio. Dobbiamo quindi aprirci con gioia al Signore sulla base di una nuova dimensione, che non è quella della pretesa e della schiavitù, ma è quella che ci aiuta ad essere veri discepoli. Questa dimensione è quella di imparare a sentirci liberi dal peso dello sguardo degli altri e di fermarci con Cristo ad ascoltarlo e a contemplare quello che Lui fa per noi. Il Signore, infatti, non vuole che consumiamo la nostra esistenza da schiavi tristi, condizionati dal giudizio degli altri e di Dio e guidati dal malsano egotismo. Lui vuole che viviamo da figli liberi, inondati dal suo amore, capaci di lasciare i pesi che ci schiacciano e che non sono secondo la sua volontà. Il testo, infatti, ci insegna anche il valore del discernimento. È facile riuscire a scegliere tra una cosa cattiva ed una cosa buona. Il problema si crea quando dobbiamo scegliere tra due cose buone. Servire (Marta) e ascoltare (Maria) sono due cose buone, quindi quale scegliere? La soluzione la posso trovare solo se entro nella logica della volontà di Dio e comprendo qual è la cosa che Lui mi chiede ora. Qui sta la libertà. Entrambe le cose non le posso fare. Devo fare quella che realizza la mia vita e non mi rende schiavo, ascoltando la volontà di Dio che si rifà alla mia vocazione.
Domande per la riflessione
Vivo il mio essere discepolo da schiavo, perché mi sento costretto a fare un servizio, o da figlio libero felice di quello che faccio? Partendo da Marta che serve e da Maria che ascolta, so scegliere tra due cose buone che vengono dal Signore? So ascoltare la volontà di Dio e fare discernimento rispetto al progetto che Lui ha su di me?
Preghiera finale
Padre Nostro
O Cristo, nostro unico mediatore, tu ci sei necessario per venire in comunione con Dio Padre, per diventare con te, che sei suo Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi, per essere rigenerati nello Spirito Santo.
Amen.
SCHEDA 4
“La santa inquietudine”
Gesù e la sua passione (Lc 12,49-53)
Iniziamo l’incontro pregando insieme:
Oh Amato,
Prendimi.
Libera la mia anima.
Riempimi con il tuo amore e
liberarmi dai due mondi.
Se ho attaccato il mio cuore a qualcos’altro,
lascia che il tuo fuoco mi bruci da dentro.
Oh Amato,
porta via quello che voglio.
Porta via quello che faccio.
Porta via quello che mi serve.
Porta via tutto
ciò che mi allontana da te. Amen.
Brano biblico
49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Riflessione
Che brano coraggioso, che testo sconvolgente! Quanto è importante accogliere queste parole così radicali. Quanto è importante buttarsi dalla parte di Cristo, o meglio essere da lui presi, perché quanto ascoltiamo in questo Vangelo sembrerebbe essere un paradosso per radicali evangelici. Invece è necessario alla nostra vita, perché la nostra vita spesso e volentieri è una grande confusione, è un grande freddo, è un grande tiepido, è una grande ambiguità.
Tante volte non capiamo cosa sia buono e cosa non lo sia. Non sappiamo quello che veramente ci serve, cosa ci è dannoso. Tante volte abbiamo dato fiducia a cose che non dovevamo assolutamente far entrare nella nostra vita, e tante volte abbiamo buttato vita cose che ci servivano.
Abbiamo bisogno, allora, di un parametro ed ecco che arriva grazie a questo testo. Gesù è venuto a gettare un fuoco sulla terra. Cosa significa? Partiamo dalla comprensione del fuoco. Cos’è il fuoco? Si tratta di una combustione, una realtà fisica che trasforma le cose in un altra. In un certo senso, che distrugge le cose e nello stesso tempo crea novità. Il fuoco, che in greco viene tradotto con “pur”, richiama il verbo purificare.
La purificazione: “c’è un fuoco da gettare nella nostra vita” e Gesù aggiunge: “e quanto vorrei che fosse già acceso!”. Cosa vuole dire? Che Gesù vorrebbe trovare il fuoco già acceso dentro di noi e vorrebbe anche abbreviare questo tempo. C’è una fretta, un desiderio ardente di Gesù, di fare che cosa? Un battesimo in cui lui sarà battezzato, immerso, ed è angosciato finché non sia compiuto. C’è qualcosa in cui lui deve entrare e noi sappiamo di che cosa sta parlando. Questo fuoco che si accenderà sarà una croce nel buio di un’eclissi che diventerà la luce del mondo, nel buio del non amore di questo mondo, della violenza e del male, che esploderà contro di lui. In questa enorme sofferenza, che gli provocherà l’angoscia nel Getsemani, in cui lui si dovrà immergere, ecco, lui brillerà perché usciamo dall’ambiguità del mondo e del male. La terribile frase che Gesù aggiunge, infatti ci conferma tutto questo: “pensate che io sia venuto a portare pace su questa terra? No, io vi dico, ma divisione.” Il greco antico dice una spada. Ma perché non è venuto a portare pace? Giovanni nel suo Vangelo dirà: “vi lascio la pace, vi do la mia pace. Ma non come la dà il mondo”. Ecco, non è la pace del mondo quella che bisogna accogliere nella propria vita. C’è un’altra pace. La nostra pace, infatti è molto diversa dalla pace di Cristo. Ma perché il testo dice che Lui non porta una pace. A che pace fa dunque riferimento questo testo, quella che lui non porta? Per comprendere il testo dobbiamo capire che essere introdotti nella vita nuova dei figli di Dio, vuole dire essere separati da qualcosa e questo è possibile solo se si assume nella propria vita l’inquietudine. Nella vita spirituale, infatti, bisogna considerare che l’inquietudine non è per nulla negativa. Molte volte ci è toccato sentire gente che generalizza un po’ troppo l’argomento seguente: “se stai in pace vuole dire che è volontà di Dio”. Ma questo non è assolutamente certo.
Sin dai principi del discernimento di sant’Ignazio di Loyola, infatti, noi sappiamo bene che quando uno per esempio è in un errore, tendente a convincere la propria razionalità, visto che le proprie passioni lo guidano in un luogo sbagliato, con delle ragioni rappacificanti che giustifichino la sua scelta sbagliata.
A questo punto sarà proprio l’inquietudine, l’opera dello Spirito Santo nel cuore della persona, a svegliare la finta pace a cui porta l’abitudine del male, per capire la situazione dannosa in cui ci si trova. Molto spesso è stata proprio l’inquietudine a salvarci e a portarci a Cristo. Abbiamo accolto tante persone la cui inquietudine è stato il sentiero che li ha condotti alla fede, alla chiesa, all’ascolto della Parola di Dio, alla gioia dei sacramenti.
L’inquietudine è una cosa da non guardare con aprioristico sospetto. C’è un’inquietudine infelice, infeconda e c’è un’inquietudine molto utile, gravida di cose buone che sono i cambiamenti. E Gesù è venuto a portarci questa inquietudine. Che viene espressa nei versetti 52 e 53: “D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera”. Cosa ci vuole dire Gesù con questa affermazione?
Se partiamo dal punto di vista storico abbiamo a che fare con un’epoca (primo e secondo secolo d. C.) in cui il martirio e la persecuzione dei cristiani sono all’ordine del giorno. Una persona, infatti, per scegliere Cristo, è costretta a vivere momenti di grave rottura con la propria realtà familiare.
Se partiamo invece da una lettura che tocca la nostra vita spirituale ci rendiamo conto che anche noi, per entrare nella dimensione del figlio di Dio, dobbiamo rompere con le “paternità” umane che bloccano la nostra vita. Per capire meglio questo discorso prendiamo l’esempio di Abramo. Lui, per vivere la storia che Dio lo chiama a sperimentare, deve uscire dalla casa di suo padre, dalla sua parentela. Anche la maggioranza dei grandi Santi, per accogliere il progetto di Dio a cui li chiamava, si sono dovuti contrapporre alle loro famiglie. Questo non vuole dire che per definizione bisogna contrapporsi alla propria famiglia, ai propri genitori, ma, il contrapporsi alla famiglia vuole significare la rottura ad una carnalità che non porta da nessuna parte.
Molto spesso dividersi dalla propria famiglia vuole dire iniziare a non andare nella via dei molti, della moda.
Il signore Gesù dice che larga e spaziosa è la via che conduce alla perdizione e molti la percorrono. C’è una via dei molti da cui bisogna dividersi. Io sono chiamato a seguire il Signore Gesù Cristo e questo mi metterà contro corrente. Non può essere che io sia perfettamente d’accordo con chi ha al centro della sua vita il contrario di quello che ho io. Non può essere che un cristiano si trovi perfettamente applaudito da tutto il mondo. Bisogna essere chiari nella propria vita e, se si vuole seguire il Signore, bisogna dividersi da ciò che allontana da lui. Quante volte succede che una persona fa una scelta un pochino più radicale e vicina alla logica del Signore, anche nel nostro ambiente ecclesiastico, e si trova circondato dall’antipatia di chi ti vorrebbe più mediocre, di chi ti vorrebbe più disposto ai compromessi, meno nitido, meno schierato, meno ben suddiviso, ben delineato. Noi siamo chiamati a sperimentare una divisione che in questo Vangelo di Luca è già annunziata sin dalla presentazione al Tempio del nostro Signore. “Egli è qui per la rovina di molti in Israele, come segno di contraddizione” e anche l’anima di Maria, la madre di Gesù, sarà trafitta da una spada, una spada che trafigge l’anima e la divide.
Questa allora è la condizione di chi fa verità nel proprio cuore. Chi tende a ricreare affettività non nitide secondo gentilezze che non sono verità, secondo stili che sono un po’ troppo gradevoli e un po’ troppo poco veri, disposto a convivere con una cattiva coscienza piuttosto che con una cattiva reputazione rifiutata dagli altri, non vive secondo la logica del Vangelo.
Noi siamo chiamati ad entrare in questa divisione, prima di tutto con noi stessi, per metterci in discussione. Non è vero che chi segue il Signore Gesù è sempre perfettamente pacifico. In realtà è in un travaglio che vuole dire combattimento, ma anche parto. C’è una creatura, infatti, che nasce continuamente e che si libera dalle sue paternità carnali, delle sue paternità terrene, delle paternità delle aspettative dei debiti contratti con questo mondo.
Quindi, quando è il momento di interrompere con il peccato, perché finalmente ci si è resi conto dell’errore, bisogna interrompere. Un peccato prima si smette e meglio è. Siamo chiamati allora a vivere tante piccole divisioni dal male, dalla tenebra e a non restare “animali da salotto”, “cristiani da soprammobile”, gradevoli a tutti, simpatici a tutti, ma non veri.
Domande per la riflessione
Gesù è venuto a portare un’inquietudine nella nostra vita spirituale che ci aiuta a capire l’errore, ne siamo consapevoli? Sappiamo riconoscerla? Dove ci porterà quest’inquietudine?
Siamo capaci di andare contro corrente e rompere con una paternità (un’umanità) che non porta da nessuna parte e ci allontana da Dio?
Nella nostra vita di fede siamo sempre d’accordo con noi stessi o seguendo il Signore ci mettiamo in discussione rispetto al nostro stile di vita o alle nostre scelte?
Preghiera finale
Padre Nostro
Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la miseria morale e per guarirla; per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità; per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.
Amen.
Sussidio a Cura dell’Ufficio Catechistico Diocesano settore Apostolato Biblico.
Le riflessioni prendono spunto dai commenti al Vangelo di Luca di don Fabio Rosini.
Si ringrazia Calabro Anna per aver curato le domande per la riflessione.
Il direttore don Paolo Viggiano